La questione esaminata dalla Suprema Corte con la sentenza n. 26766/2020, nelle sue delicatezza e complessità, offre lo spunto per riflettere sulla “capienza” della nozione di intercettazione o, altrimenti, sulla necessità della costruzione di una nozione “post-moderna” di essa, ossia raccordata ai confini sempre più estesi che l’incessante e rapida evoluzione tecnologica traccia rispetto all’efficacia intrusiva dei – a loro volta sempre più diffusi, disponibili e estremamente maneggevoli – moderni mezzi di captazione.
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