Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso la sentenza con cui la Corte d’appello, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale, aveva ridotto la pena, confermando nel resto la condanna per il reato di detenzione, a fini di spaccio, di sostanza stupefacente del tipo hashish, la Corte di Cassazione (sentenza 16 luglio 2020, n. 21157) – nel disattendere la tesi difensiva, secondo cui erroneamente il giudice aveva ritenuto che da gr. 15,488 di principio attivo fossero ricavabili non 20 dosi singole ma 620 – ha diversamente affermato che il parametro da prendere in considerazione non è quello del quantitativo massimo detenibile, bensì quello della singola dose cedibile che, nell’ottica dell’autore del reato di cessione di sostanze stupefacenti, costituisce l’oggetto materiale della condotta, conseguendone, pertanto, che non è corretto porsi nell’ottica del detentore della sostanza, in quanto la norma incriminatrice (art. 73, TU Stupefacenti) si pone nell’ottica di colui che la cede, essendo chiaro che ad ogni singola dose può corrispondere una cessione a favore di uno o più acquirenti/cessionari.
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